Sono sempre rimasto colpito dall’architettura gotica, non tanto per l’estetica o la ricercatezza delle geometrie quanto per il suo slancio verso l’alto. L’arco a sesto acuto, tipico dello stile, è secondo me perfetta metafora di questa propensione spaziale. La tendenza ad alzare gli occhi verso il cielo, in direzione di una realtà lontana da quella terrena, per riflettere sui misteri della vita attraverso lo studio dell’intangibile.
Una vocazione trasversale, che filtra in letteratura attraverso il romanzo gotico e le sue evoluzioni. Da Walpole e le stanze solitarie del suo Castello di Otranto, passando per l’approccio più introspettivo e quotidiano di Poe, vediamo come il genere abbia mantenuto il proprio spirito senza ancorarsi a un’ambientazione predefinita. A farla da padrona, infatti, è un’atmosfera rarefatta – quasi mefitica – che ha fornito e fornisce tutt’oggi la possibilità di venire innestata in svariati contesti.
Come per Antracite (romanzo del mai abbastanza apprezzato Valerio Evangelisti) anch’io ho trovato nell’America ricostruita il perfetto ricettacolo per raccontare una storia gotica. Il coraggio degli abitanti di frontiera, la violenza dilagante, l’eco della guerra e le sue cicatrici, le incertezze nei confronti del futuro; elementi autentici che farebbero rabbrividire il più fantasioso dei romanzi dell’orrore.
Così, tra le Grandi Pianure e le Montagne Rocciose, nasce Quiet Ridge. Un luogo dal retaggio oscuro, che funge da punto di partenza per il viaggio trascendentale di Dalia Vargas. Un pellegrinaggio che la indurrà a guardare verso l’alto, scrutare l’intangibile, per trovare le risposte che in un modo o nell’altro tutti noi siamo portati a cercare.
Gaetano Cappello