Le campane di San Pietroburgo si svolge tra il 1900 e il 1940. Sono sempre rimasta affascinata dalla storia russa di quel periodo, della loro entrata in guerra e la conseguente rivoluzione che ha portato un vero e proprio clima del terrore.
Da amante della letteratura non ho potuto non citare Sergej Esenin, che divenne famoso proprio nei circoli letterari di San Pietroburgo con le sue idee rivoluzionarie. Quando tramite Gavril accenno che i suoi scritti potrebbero portarlo a fare una brutta fine, è perché il poeta, proprio in quella città, incontrò una morte violenta.
Lenin e Stalin sono sicuramente le figure di spicco della storia russa di quel periodo. Non ho voluto ‘farli parlare’ ma li ho lasciati come personaggi di sfondo perché penso che abbiano già dato molta voce alle loro imprese. Quello che ho scritto nel romanzo cerca di essere più veritiero possibile: è esistito davvero l’Iskra ‘scintilla’, il quotidiano clandestino fondato da Lenin nel 1900 a cui lavoravano solo persone fidate, tra le quali Martov, un altro personaggio che cito. Dopo che Lenin abbandonò il quotidiano, Martov diede a Lenin del ‘politicamente fallito’, come ho scritto nel libro. Ma ci tengo invece a precisare che Lenin si firma con questo nome soltanto nel successivo quotidiano, ovvero Zarja ‘l’alba’. Naturalmente però, non c’è stato nessun Gavril a scrivere per lui né a fargli da spia nell’Ochrana. È vero che il Dipartimento di Sicurezza avesse mandato delle spie, ma Lenin difficilmente si fidava davvero di qualcuno come ho cercato di far intendere nel romanzo.
Lenin ha davvero fatto cadere lo Zar, ha razionato gli alimenti, ha requisito le eccedenze, ha reintrodotto la pena di morte e abolita la libertà di stampa, sulla quale mi ci sono soffermata, ma non c’è stato nessun Viktor a contrastarlo.
La figura su cui abbiamo fantasticato tutti è certamente Anastasia Romanov, la figlia più piccola dello Zar, creduta ancora viva secondo la leggenda. I suoi resti però furono trovati e tumulati accanto alla sua famiglia, mentre di quelli del fratello Aleksej e della sorella Marija inizialmente non ce n’era traccia. Forse per loro si poteva creare qualche storia su una insperata buona sorte, ma anche i loro corpi, corrosi dall’acido solforico, vennero in seguito ritrovati.
C’è un particolare che mi ha colpito profondamente della loro fine. Il giorno del loro massacro, a Ekaterinburg, vennero portati in un seminterrato. Pensavano di stare per andarsene da lì, per questo la zarina e le figlie avevano nascosto nei loro corsetti i gioielli di famiglia, per poter ricominciare da capo ovunque fossero andati. Quando iniziarono gli spari, i gioielli attutirono i colpi, salvandole, fino a quando le guardie, esasperate, le colpirono alla testa. Ho voluto riutilizzare questo particolare anche per l’orologio da taschino che, in un primo momento, protegge Edgar.
Jessica Marchionne