Disse Empedocle: amore e odio sono le due facce di una stessa medaglia.
Disse Shakespeare: amami o odiami, entrambi sono a mio favore.
Disse il Bacio Perugina: io ti odio. Però ti amo. E ti odio anche per questo.
Giulia Barucco concluderebbe con un elegante: grazie al c***o.
Ma dato che non si permette di dire la sua dopo aver sfoderato dei pesi massimi dell’intelletto umano, invece che spiegarvi il concetto a parole, decide di fare due cose: si gioca l’esempio concreto per presentarvi l’argomento, e smette di parlare in terza persona. Esiste un viaggio più rivoluzionario del giro del mondo in ottanta giorni, ed è quello che ti
porta dal fondo vischioso dell’odio alle vette candide dell’amore infinito in una manciata di
incontri, che non quantifichiamo perché non siamo dentro un film con Kate Hudson, ma tra le righe di un articolo dal retrogusto scientifico.
Odio profondamente i bigliettini dei Baci Perugina. Li odio, li detesto, se potessi mangerei quelli e leggerei il cioccolatino, tant’è il fastidio che provo nei confronti di quel fottuto rettangolino di velina accartocciata. E allora vi chiederete: come mai non ti compri gli M&M’s e smetti di rompere i coglioni?
Non ci riesco.
Li vedo e li devo comprare, dopo aver intessuto infamie per le Limited Edition, essermi
lamentata con la cassiera, averli insacchettati sotto i fustini di detersivo per sfarinarli… e sapete perché? Perché io vorrei scrivere quei bigliettini. Vorrei che le mie parole venissero accartocciate sulla velina, lette da qualcuno che rimanga profondamente colpito dal mio pensiero, e che commenti con un: come sono vere queste frasi, magari piene di parolacce, ma vere! (Modo di uccidere #1: inzuppargli il cioccolato di lassativo).
Possibile che quella cosa, o persona, che sbriciola le nostre riserve di pazienza, che ci riempie la testa di pensieri che infrangono ognuno dei dieci comandamenti e almeno il 99% delle leggi italiane, per un movimento impercettibile dell’asse terrestre e del conseguente millimetrico spostamento della nostra prospettiva, diventa quella stessa cosa o persona senza la quale non riusciamo a vivere? (A proposito, modo di uccidere #2: torcergli il collo).
Mi viene quasi da pensare che noi essere umani tendiamo a procedere per temperature emotive, più che per logica: il blu notte si infila nella cesta dei colori scuri insieme al nero e al bordeaux e al verde muschio, anche se tra il blu notte e il verde muschio ci passano quindicimila vegetazioni. Lo dice anche la lavatrice, che devi fare così. Nel cassetto mentale dei cibi buoni riponiamo la cheesecake, lo spiedo con la polenta taragna e l’impepata di cozze, pur sapendo che Cannavacciuolo ha ucciso per molto meno. Nel cestino delle cose cattive si trovano Putin, i no vax e il vicino di casa ventenne che ti dice buongiorno signora. Eppure, sentite qui, non siamo sadomasochiste, è che ci disegnano così: la corteccia insulare che costituisce una parte del nostro cervello ci rende capaci di provare empatia. Entriamo in contatto con l’altro e ci agganciamo alle sue vibrazioni grazie a un simpatico interruttore che, udite udite, si attiva allo stesso modo sia che proviamo amore, sia che
proviamo odio.
Capite? Vedete Keanu Reeves per strada. ON. Vibrate che nemmeno un trattore in salita.
Un ciclista deficiente quasi vi tira sotto sulle strisce pedonali. ON. Volate che nemmeno la Dodge Charger di Toretto.
Ma la cosa davvero grave è che, grazie a quella stronza corteccia insulare, potreste rincorrere il ciclista convinte di volergli infilare la testa nei raggi del mezzo (ci piace. Modo di uccidere 3) e scoprire che il fiume in piena e i muscoli iniettati di crampi non sono la fisiologica conseguenza dell’inseguimento, ma dell’altrettanto fisiologico innamoramento fulmineo! Lui potrebbe replicare con un: Ma sniffi l’eucalipto?
E voi sareste costrette a spiegargli che la vostra inopportuna corteccia insulare è su ON, per cui aprirgli male la testa o baciarlo alla francese per voi è la stessa cosa. La corteccia cosa? Chiede lui. Poi si ricorderebbe che Dostoevskij disse che il contrario dell’amore non è l’odio, ma l’indifferenza, e vi fidanzereste.
Poi ci sarebbe quella famosissima corrente di pensiero che dice che, a noi donne, piace lo stronzo. Un essere nato nella notte dei tempi, quando il buon Dio ammirò le meraviglie che aveva appena creato e si disse: ma una roba brutta e indigesta, ce la vogliamo mettere, giusto per far risaltare la bellezza di tutto il resto? Ed ecco che lo stronzo viene alla luce. Quello che ci guarda con aria di sufficienza, che critica quello che facciamo, che sputa nell’occhio al nostro parere, che appare e scompare secondo un calendario stronziano basato sul ciclo dei gran cazzi suoi, insomma, un diabolico incrocio tra una suocera e la
cistite.
E noi, giù come birilli.
State pur certe che, se da una parte abbiamo l’uomo tenero e avvezzo al rispetto e dall’altro la cistocera, noi corriamo a farci prendere a mazzate metaforiche sui denti. Un po’ perché la teoria dello stronzo è vera, un po’ perché la letteratura d’amore ci consiglia di farci rapire da
passioni audaci (quali che siano, fotte sega, ON e via), e un po’ perché ci rendiamo conto che la parola S.T.R.O.N.Z.O. potrebbe essere un acronimo di Sicuro, Tenace, Realistico, Onesto, Nobile, Zelante, Orgoglioso. Oppure Saccente, Tedioso, Rompicoglioni, Ottuso, Nefasto, Zozzone e Ohooomatenevai?? Non nego. Ma in entrambi i casi, quello di cui vogliamo sentire il parere e da cui, alla lunga, finiamo per diventare dipendenti.
Mi permettete di chiudere con un pensiero della mia Rebecca, la protagonista di Una zebra a pois e del prossimo libro, Stammi lontano?
Non ami davvero, se non sfiori la detenzione.
Bacio Perugina, beccati questa.
Giulia Barucco