Stati Uniti, 20 marzo 1952
Sgt. 1ª C. Anthony Lewis STOP Caduto in missione STOP Zona operativa: Seul STOP 20 settembre 1951 STOP
«Chi era alla porta?»
Lei non rispose subito. In tasca le piastrine di Peter bruciavano. Era seduta sulle scale, doveva ancora metabolizzare, e suo marito era in attesa di una risposta.
«Nessuno, solo un turista che voleva sapere il punto migliore per poter fare una nuotata nel lago.»
«Da quando Snyder’s Lake è diventato una meta per vacanzieri?»
«Dall’estate scorsa» rispose. «Tu eri in Africa.»
«Oh, capisco», non era affatto toccato dalla questione. «Hai bisogno di una mano?» Scese il primo scalino.
«No, no, tranquillo. Posso farcela anche da sola.» Scosse la testa, alzò le braccia. Le gambe tremarono ancora quando le mosse. Peter era sempre intorno a lei, come un fumo che la stava asfissiando.
«Non dire sciocchezze.» Kevin la raggiunse e la sollevò in braccio con sommo sforzo per portarla in camera da letto.
Era ancora tardo pomeriggio e la luce rossastra degli ultimi raggi di sole illuminava le lenzuola bianche di lino.
Giovedì 20 marzo, l’equinozio di primavera, il giorno più dolce di tutto l’anno che per Cindy non avrebbe mai avuto fine.
Un’altra fitta le trafisse fra le cosce, ma quella volta era stata molto più invadente.
«Kevin…»
«Dimmi.»
«Credo stia succedendo qualcosa… Oh!» Cindy allargò subito le gambe per istinto, qualcosa la stava abbandonando.
Le lenzuola sotto di lei si bagnarono.
«Oh, mio Dio! Kevin, cosa mi sta succedendo? Il bambino!»
Lui strabuzzò gli occhi, rimase fermo impalato a fissare la moglie contorcersi dal dolore. «Ma non è possibile, non è ancora scaduto l’ultimo trimestre.»
«Dannazione, Kevin! Sta per nascere ora! Portami all’ospedale e smettila di pensare!» ruggì, stringendo la federa del cuscino. Era terrificata, non si sentiva pronta a… quello!
Sto per diventare madre, pensò in quel preciso istante, sto per diventare madre il giorno più brutto della mia vita.
«Kevin!» urlò ancora, le prime contrazioni arrivarono in fretta. «Portami all’ospedale!» gli afferrò il braccio.
«Cindy, l’ospedale è a un’ora da qui, non puoi aspettare così tanto!»
Lei si accasciò sul materasso. Le contrazioni diventavano sempre più forti col passare dei minuti. A intervalli regolari la trafiggevano da parte a parte come tizzoni roventi. «Kevin, aiutami! Aiutami, ti prego!»
Lui si levò gli occhiali e si scorciò le maniche, stava sudando freddo. C’era solo una possibilità. «Cindy, dovrò occuparmene io.»
«Cosa? No!» Un altro gemito. Strinse forte i denti e i pugni, contorcendo il tessuto, e quasi non strappò le lenzuola. «Voglio un dottore! Chiamalo subito!»
«Posso farlo, fidati di me. Tu devi solo continuare a respirare», le sollevò il vestito e le divaricò di più le gambe, sfilandole via le mutandine senza alcuna esitazione. «Concentrati sul respiro e non pensare a nient’altro» disse. «Non avere paura.»
«Non… non ci riesco!» ansimò fra le lacrime. «Tu non hai mai fatto nascere un bambino!»
Lui sollevò la testa e la guardò negli occhi con un sorriso compiaciuto. «In Africa ho aiutato una leonessa a dare alla luce sei cuccioli.»
«Sul serio?»
«Ricordi che mi hai conosciuto in una clinica veterinaria? Ho imparato qualcosa stando lì.»
«Non sono una cagna, maledetto idiota!» protestò di nuovo, quando ne ebbe la forza dopo un’altra contrazione.
«Siamo tutti animali, Cindy, e ora tu sei esattamente come quella leonessa» continuò Kevin, accarezzandole il ginocchio. «Lei è stata brava, ha partorito sei piccoli leoncini. Tu riuscirai a spingere, piccola, tu ci riuscirai proprio come lei ha fatto nascere l’ultimo figlio dopo averne dati alla luce cinque, tutti in una sola volta. Adesso respira.»
E Cindy iniziò a inspirare, inspirare, ma buttare fuori l’aria era tutt’altra storia. Ci provò una volta, ci provò una seconda volta, era come in apnea, ma alla terza espirò gridando.
I suoi gemiti erano terrificanti, sembrava la stessero squartando.
«Così, spingi più che puoi.»
Con il cuore disintegrato, Cindy spinse con tutte le sue forze.
E spinse.
Spingi!
«Mamma, ti prego, aiutami!»
«Continua! Stai andando benissimo, amore, respira più forte. Non smettere di respirare.»
«Kevin, non ce la faccio! Basta!»
Il corpo stava facendo il possibile, ma era il suo spirito a non essere forte abbastanza. Cindy avvertiva la sua stessa vita fuoriuscire a ogni gemito e spinta convulsa.
«Vedo la testa! Eccola!» esultò Kevin.
Lei strinse i denti e si preparò a spingere con più vigore. Doveva farcela, doveva… «Mamma, aiutami! Mamma!» Pianse come una bambina. «Non ce la faccio più!» Non aveva mai creduto che mettere al mondo un bambino fosse così doloroso.
«Invece sì, il grosso lo hai già fatto.» Kevin sollevò lo sguardo ottimista su di lei. «Ti fidi di me?»
Esausta e tremante, lei lo guardò con occhi pieni di disperazione. «Sì.»
Sei tu che non avresti dovuto fidarti di me.
Cindy non credeva in Dio, ma Peter sì, perciò iniziò a pregare perché non la facesse morire senza aver prima dato alla luce quella creatura.
Un altro urlo.
Inspirò e spinse così forte da avvertire le proprie vene come esplodere in coriandoli dentro il suo corpo. Digrignò i denti finché poté trattenere le forze e con un ultimo, massacrante grido di liberazione, lasciò andare le lenzuola.
Non avvertì più nulla, né nel suo ventre, né nel suo cuore. Ciò che le affliggeva l’anima era sparito.
«Cindy, guarda, è un bambina!» Kevin era al settimo cielo. «Sta piangendo! La senti? Sta piangendo!»
Lui era sporco di sangue, ma sorrideva come non aveva mai fatto mentre teneva fra le mani quell’esserino che strillava e gemeva contorcendosi a occhi chiusi.
Lei era sfinita. Distrutta.
«Mio Dio, è piccolissima. È una fragolina, guarda» sussurrò commosso.
Lei aprì le palpebre, ansante, quasi priva di sensi, e quando vide sua figlia per la prima volta il cuore riprese a battere. «Portamela qui» mormorò con voce impastata. «Voglio toccarla.»
Kevin allungò le braccia e appoggiò la piccola Evelyn sul ventre della madre. Cindy la strinse forte al petto, le accarezzò il visino con un dito.
«Hai ragione, è davvero piccola.» Stava ancora piangendo. «È bellissima.»
La piccola subito si acquietò e un’espressione di serenità si dipinse sul suo volto. Era appena nata ed era già felice.
Era ancora sporca e il cordone ombelicale la teneva unita a sua madre attraverso quel legame unico e indissolubile. Cindy le baciò la testa ricoperta di soffice peluria chiara e pianse in silenzio. Pianse lacrime di amarezza e gioia insieme.
Pianse per sua figlia che era arrivata in quel mondo troppo crudele e ingiusto, così d’urgenza e così velocemente da non essersene ancora resa conto a pieno. In quel mondo dove il destino era sempre un’incognita e la morte l’unica certezza.
Cindy pianse per Kevin, suo marito, che l’aveva aiutata a far nascere una figlia non sua.
Cindy pianse per Peter, il suo unico e più grande amore, che non avrebbe mai potuto stringere la sua bambina.
Alla fine, Cindy pianse anche per stessa, perché sapeva cosa l’attendeva.La vita scavò un nuovo percorso e mise radici profonde laddove era stata fermata.