In diverse epoche, in diversi contesti sociali, molti scrittori e molte scrittrici hanno scelto di affidarsi a uno pseudonimo per firmare le proprie opere. Un caso eclatante e molto recente è proprio quello della scrittrice Elena Ferrante, attorno alla cui persona aleggia un’atmosfera misteriosa. Spesso di fronte a una scelta di questo genere, il pubblico si sofferma sull’identità nascosta, sulla persona dietro il nome. I dibattiti che ne scaturiscono sono sempre molto divertenti e pieni di indizi più o meno precisi – l’anno scorso, per esempio, è toccato all’artista e writer Banksy, che per molti è stato associato a Neil Buchanan (Classe 1961) conosciuto in Italia come Neil Il Grande Artista del programma televisivo Art Attack – ed è in una di queste animate discussioni che si trova invischiato Ezra Talbot, protagonista maschile de Lo Pseudonimo. Talbot giornalista di punta della rivista The Point, infatti, si trova a dover scoprire chi si nasconde dietro i romanzi di Mr Montgomery, un fantomatico scrittore che ha riscosso un notevole successo in tutta Londra.
Con toni un po’ severi e sintetici, per Talbot, scrivere sotto pseudonimo è sinonimo di pubblicità debitamente mescolata al bisogno di privacy che nasconde una certa vigliaccheria. Dopotutto, pubblicare in anonimo o con un nom de plume ha i suoi vantaggi, soprattutto se si devono portare avanti idee scomode – lo sapeva bene il povero Zola, costretto a fuggire dalla Francia per il suo articolo sul Dreyfus affair.
Una riflessione diversa e più articolata – se vogliamo dire così – è invece quella di Frances Evans, la brillante e goffa assistente di Talbot: più che l’identità di Montgomery, lei sembra interessata sapere perché lo scrittore abbia scelto di scrivere sotto pseudonimo. Evans non riesce a ricondurre questa bizzarra opzione a meri motivi pubblicitari, per lei ce ne devono essere altri, più personali, più profondi. Questa sua posizione è di certo dovuta anche al suo sesso, al suo essere una donna. Molte scrittrici e intellettuali, infatti, hanno fatto – e alcune fanno tutt’ora, per esempio J.K. Rowling – uso di un nom de plume maschile per essere prese sul serio, per essere “accettate” in un mondo che le esclude ritenendo che la loro visione sia necessariamente parziale.
Ne Lo Pseudonimo queste due posizioni si scontreranno e allo stesso tempo saranno costrette ad intrecciarsi, perché, durante la loro indagine, entrambi i protagonisti diventeranno sempre più consapevoli di quanto sia complessa non solo la realtà in cui agiscono, ma soprattutto la persona che si trovano a dover cercare.